L'inizio
Tutto è iniziato con una ricerca precisa: volevo una chitarra malandata, una di quelle lasciate a morire in un angolo buio, da far rinascere con pazienza, perizia, passione e precisione.
Scartabellando su Subito.it ho trovato l’annuncio: una chitarra malconcia in vendita proprio a Roma.
Osservando bene le foto non prometteva bene: piena di ruggine, nastro isolante, adesivi, segni ovunque, era dunque perfetta per quello che avevo in mente. Decisi quindi di contattare il venditore e organizzarci di lì a pochi giorni per vederla.
Quando l’ho presa in mano per la prima volta, ho capito che le immagini erano state persino gentili. La ruggine era molto più del previsto, adesivi e nastro isolante nascondevano qualcosa, i graffi erano invece solchi profondi, la vernice scrostata in diversi punti e la curvatura del manico era visibile ad occhio nudo.
Era anche molto pesante, sporca, e mi è venuto subito il dubbio che l’elettronica fosse defunta.
Una chitarra in letterale stato di abbandono, lasciata in una cantina da diverso (troppo) tempo.
Decisi comunque di prenderla, il prezzo era meno di una cena, ma avevo capito che era stato comunque un oggetto molto importante per la persona che me la cedeva.
Durante il viaggio verso casa ho cercato di restare lucido: niente slanci romantici, solo valutazioni oggettive. Aveva senso investirci tempo e soldi?
Continuavo a ripassare mentalmente le fasi che ipotizzavo per l'analisi e l'eventuale recupero, ma alla fine mi veniva in mente solo una cosa: ripulirla dalla sporcizia e dalla ruggine accumulata e fare un'analisi approfondita, solo dopo avrei potuto preparare un piano d'attacco.
Il giorno dopo era domenica, a casa c’erano anche i miei genitori: mio padre, curioso come non mai, e mia figlia – poco meno di due anni – che voleva assolutamente “impicciarsi”. Ho iniziato a smontarla e pulirla a fondo.
E lì ho sentito qualcosa: nonostante l’apparenza fosse quella di una vecchia chitarra economica, da battaglia, aveva un suo peso. Un suo potenziale.
Ancora non immaginavo però quanto mi avrebbe messo alla prova nelle settimane successive.
Queste sono le prime foto della chitarra, esattamente così come si presentava non appena l'ho portata a casa
Smontare, scoprire, decidere
Quella domenica sera, mentre tutti erano a dormire, io ero a lavorare.
Via le corde, poi i pickup, i cavetti, il ponte, le meccaniche, il manico… smontai tutto. Volevo arrivare a dama, senza troppi sentimentalismi: se avessi scoperto qualcosa di irrecuperabile l’avrei buttata, oramai intera o a pezzi, poco cambiava.
Il primo test fu all'elettronica, multimetro alla mano ripercorsi tutto il circuito, e devo dire che funzionava tutto. Purtroppo, dei tre pickup quello al ponte era completamente morto: nessun segnale. Prima spesa imprevista.
Ma la vera botta la presi dal manico. Non solo era molto incurvato, ma il truss rod era completamente andato, il nottolino girava a vuoto, palesemente spezzato e di conseguenza non regolabile. Inutile. C’era da sostituire tutto il manico.
Ponte e meccaniche funzionavano ma erano da salvare dalla ruggine. Decisi comunque di continuare, di andare avanti, tanto un po' di pulizia non mi sarebbe costata chissà quanto.
Man mano che procedevo con lo smontaggio e la pulizia fotografavo tutto: ogni vite, ogni segno, ogni traccia. Sul manico e nella tasca c’erano scritte in coreano (presumo, dato il "made in korea" inciso sul manico), forse vergate da chi l’aveva assemblata.
I solchi sul body, anche abbastanza profondi, sembravano intenzionali, come se qualcuno avesse provato a “incidere” qualcosa.
L'adesivo degli Iron Maiden messo alla buona nascondeva un punto dove la vernice era stata grattata via fino al legno, non riesco a immaginarmi il motivo.
E nella zona scavi dell'elettronica una sorpresa: la vernice era dorata, sembrava anche molto fine e ben stesa, ma perché? Chi l’aveva pensata così?
le immagini dell'analisi più approfondita, ho provato a documentare le cose più interessanti o comunque bizzarre dello strumento che avevo tra le mani
Non avevo ancora una strategia precisa. Continuavo a pulire, sgrassare, togliere ruggine e prendere appunti mentali. Ogni pezzo mi diceva se poteva restare o doveva essere sostituito. Era un po’ come parlare con la chitarra, farla confessare.
Scala sbagliata, e ora?
Il progetto iniziava a delinearsi.
Mi diedi come obiettivo di non inventare nulla di nuovo, ma semplicemente (si fa per dire) restituirle dignità. Non aveva senso operare per un restauro filologico tipo quadro rinascimentale, ipotizzai perciò di riportarla quanto più possibile vicino a ciò che era stata, mantenendo un certo rispetto.
Un elemento molto importante fu la promessa che avevo fatto alla signora che me l'aveva venduta: di trattata bene, con rispetto, e non l'avevo dimenticato; era chiaro che non aveva un valore economico ma altrettanto chiaro l'importanza che aveva avuto per lei questa chitarra.
Avendo già un manico e dei pickup disponibili pensai di rimontarla alla ben meglio per provarla.
Ma ecco la prima doccia fredda: la chitarra aveva una scala non standard.
Sulle Stratocaster standard la distanza tra il capotasto e ponte è di 648 mm, questa ne faceva 635, in pratica aveva una scala da 25" (tipica delle PRS) anziché una scala da 25,5"(tipica delle Fender).
Lo sconforto si fece sentire perché sarebbe stato del tutto inutile montare il manico standard che già possedevo: non sarebbe mai stata intonata; mollare non era nei piani ma nonostante alcune settimane di ricerca non esistevano manici con paletta tipica della Stratocaster e una scala da 25". Qualche liutaio specializzato mi propose una realizzazione su commissione ma il costo non era proporzionato al valore della chitarra.
Fu il punto di svolta: dovevo decidere se buttarla o fare un salto nel buio. Scelsi il buio.
Avrei cambiato la scala. Avrei spostato il ponte. Avrei modificato tutto quello che serviva. E per farlo bene, il primo passo era riportarla al legno vivo e iniziare a ridisegnare tutta la geometria.
Sotto, la prima grande soddisfazione: un legno bello, pesante, un multistrato con venature regolari.
Il body era fatto bene. Quel poco che rimaneva dell’anima originale valeva la pena di essere salvato.
Ho iniziato a pianificare la lista degli interventi ma mi rendevo conto che cresceva di giorno in giorno:
spostare il ponte di qualche millimetro indietro
allargare lo scasso del ponte da un lato e aggiungere legno dall'altro
ispessire la tasca del manico (era troppo bassa)
correggere l’inclinazione e la centratura del manico
rifare i fori per il fissaggio del manico
rifare i fori per il fissaggio del battipenna
rettificare lo scavo per la placchetta alla quale si ancorano le molle
ispessire un bordino dello scavo per evitare che una parte restasse (seppur di qualche mm) aperta
sostituire i tre pickup con un set nuovo
rifare tutta l’elettronica con nuovi potenziometri
cambiare le meccaniche e tutta componentistica (molle, placchette, etc.)
E considerati tutti questi interventi, decisi anche di risagomare la parte inferiore del tacco che non era squadrata come piace a me, era leggermente trapezoidale, decisi quindi di barcamenarmi anche in questa modifica del tutto "gratuita" visto che non aveva influenza alcuna su funzionalità o suonabilità dello strumento. Ma fatto trenta...
Alla fine, della chitarra originale era rimasto solo il legno del body.
Ma forse era proprio quello il punto: prendere l'anima dal corpo e darle una nuova vita
le immagini riportano in modo più o meno ordinato i vari interventi: è possibile vedere il lavoro di spostamento del ponte e rifacimento del piano, come il tacco è stato lavorato, come sono stati eseguiti i lavori di normalizzazione dello scavo posteriore e di ispessimento del fianchetto laterale dello scavo elettronica
Da falegname a pittore
Una volta che il body era stato lavorato a dovere, lavoro durato mesi, sapevo che mi sarebbe aspettata la parte più divertente. Diciamocela tutta: la verniciatura.
Chi realizza chitarre sa bene quanto questo momento sia carico di aspettative: è da questo momento in poi che un pezzo di legno grezzo assume la sua identità finale.
Sappiamo anche che la fase della verniciatura non priva è di rischi, anzi, un'ottima elaborazione del body e un assemblaggio di precisione possono essere vanificati da una verniciatura sbagliata.
D'altro canto è proprio una bella verniciatura che - per qualche misterioso e magico motivo - farà suonare ancora meglio lo strumento.
Ho riflettuto spesso su come avrei voluto verniciare questa Stratocaster, ma più e più volte mi ripetevo che l'avrei rifatta dello stesso colore nero, qualcosa di lucido ma non troppo - anni ’80 - e darle quel senso di plasticoso tipico delle chitarre orientali economiche dell'epoca.
Avevo anche pensato ad un leggero invecchiamento, senza effetti tipo “relic” che non mi fanno sempre impazzire. Pensavo che il contrasto tra un body "vissuto" ed il lucido del battipenna e dell’hardware nuovo la potevano rendere viva e coerente.
Come base della verniciatura ho realizzato il fondo con cementite bianca, poche mani leggere.
"La chitarra di mozzarella" diceva mia figlia ogni volta che mi vedeva lavorare.
Per essere sicuro che la base fosse ben preparata ho dato un altro paio di mani leggere mescolando un colorante nero alla cementite bianca in modo da poter vedere il grigio a contrasto.
A body perfettamente livellato sono andato giù di nero acrilico, cinque mani leggere; la vernice è stata poi lavorata con carta abrasiva 800 e 1500. La base era venuta davvero bene, profonda, omogenea, perfettamente liscia.
Non restava che il poliuretano a sigillare, avevo però intenzione di non limitarmi al trasparente lucido che poteva rendere l'effetto troppo "nuovo" rispetto all'idea che avevo in mente; mi decisi a provare l'utilizzo di un trasparente opaco e poi... lucidarlo.
Molti di voi staranno già pensando "ma che senso ha? non era meglio opacizzare il lucido?", vero, ma oramai avevo già deciso, volevo provare la strada inversa, e nell'attesa di quelle due settimane che lascio tipicamente passare prima di passare il lucido, mi preparavo mentalmente il piano di lavoro.
Dopo tre mani piene di lucido opaco, altosolido, bello plasticoso, ho iniziato a lavorarlo con carta abrasiva: 400, andandoci giù pesante, poi 800 per togliere i graffi della precedente, poi 1000, per dare una bella base molto matta sulla quale poi fare un breve passaggio 2000, 3000, 5000 ed infine una pasta abrasiva di medio taglio passata invece a rotorbitale con platorello per lucidare.
Si, il lavoro con carta abrasiva l'ho fatto tutto a mano, volevo sentire il body sotto le dita passaggio dopo passaggio.
L'effetto non era proprio come lo immaginavo, devo essere sincero, però non mi dispiaceva affatto: la guardavo e la riguardavo e mi chiedevo come poteva essere prima di essere riposta per tutto quel tempo, prima che la ruggine trovasse dimora su quel metallo morbido, chissà se era davvero così quel body oppure diverso. Non lo sapremo mai, ma sappiamo com'è adesso.
Le tre foto in alto mostrano la fase di verniciatura della base: prima con cementite bianca e successivamente scurita per avere un effetto a contrasto in fase di livellatura della base. Le ultime tre sono invece i passaggi con la vernice acrilica nera carteggiata e finitura trasparente.
E l'elettrotecnico no?
Nel frattempo attendevo che il trasparente si asciugasse a dovere (tipicamente, prima del passaggio finale di lucidatura, attendo anche un mese) ho iniziato a ragionare sulla parte elettronica.
Anche sull'elettronica avevo già in mente cosa realizzare: un circuito semplice, componentistica di qualità, cablaggio standard Stratocaster SSS (5 posizioni, 1 Volume e 2 Toni).
I Pick-Up hanno magneti Alnico5, con resistenza molto stabile: 7,23 al ponte, 6,52 al centro e 6,43 al manico. Come potenziometri non avevo dubbi: CTS, formato largo.
Ero solo indeciso sul condensatore, ho scelto poi un Orange Drop da 0,047uF.
Avevo già in mente di schermare tutto il vano, battipenna incluso, e dopo aver steso i miei fogli di rame ho proceduto col montare e saldare tutti i componenti.
Schermatura retro battipenna, fase di saldatura dei potenziometri, assemblaggio (quasi) finale
Manca solo il manico
A dire il vero il manico già c'era, un manico in acero con tastiera in acero, 22 tasti medium jumbo e paletta stile Stratocaster. L'avevo presa per un altro progetto per il quale ho poi scelto di fare altro.
Non essendo un restauro conservativo ho pensato di mettere il logo "Violet Guitart" sulla paletta.
L'applicazione abbastanza standard, decal ad acqua e poi almeno 3-4 strati di trasparente lucido; essendo il manico satinato ho proceduto ad opacizzare il lucido con una carta abrasiva 800 e giusto un velo d'acqua.
A lavoro ultimato non restava che ripulire i fori per il fissaggio delle meccaniche dalla vernice e montare queste ultime; ho scelto delle classiche palettine con rapporto 14:1.
Manico sul quale è stato posto il logo "Violet Guitart" e successivamente le meccaniche
Ultimo Check
Si, prima di procedere con la fase finale di invecchiamento e poi con la lucidatura del body faccio sempre un ultimo controllo con un assemblaggio di prova.
In questo passaggio verifico la coerenza di quanto realizzato finora: centratura ponte, inclinazione manico, posizione delle corde sulla tastiera, trazione del ponte, posizione del battipenna.
Nulla che non avessi già provato prima, ma è sempre meglio ricontrollare prima di completare definitivamente la parte della verniciatura: se malauguratamente dovesse emergere qualche difetto, qualche imperfezione, vi sono ancora margini accettabili per effettuare correzioni: e infatti il manico era leggermente inclinato all'indietro (tipo Gibson).
Certe volte non vi nascondo che è anche la voglia di vedere già come verrà la chitarra finita.
Un dettaglio per la verifica empirica della centratura del ponte e alcune misurazioni per il diapason. Nell'ultima foto la verifica dell'effetto "ti poggio sul divano dopo che ho finito di suonare".
Correzione inferiore al millimetro
Questo manico un po' inclinato non era un vero e proprio problema, ma lasciando la chitarra così avrebbe richiesto di regolare le sellette verso l'alto quasi a fine corsa, il che riduceva la possibilità di effettuare regolazioni per chi avesse voluto un action più alto.
Non ci ho pensato due volte e ho proceduto a prendere le misure: era necessario uno spessore che fosse profondo circa il 75% della tasca e con un'altezza sul bordo esterno maggiore rispetto quello interno di poco inferiore al millimetro.
Ho dovuto lavorare il legno con carta abrasiva per raggiungere lo spessore desiderato e provarlo più volte perché non avevo un calibro così preciso da ottenere tale misurazione..
Avevo anche deciso di inglobare questo rialzo nella parte del tacco, non mi andava di lasciarlo così grezzo e a vista.
Dopo averlo incollato e rifinito si è reso necessario stuccare i bordi e carteggiare. Questo passaggio ha ovviamente rovinato la verniciatura del tacco che ho dovuto rifare, inclusa la parte del trasparente opaco.
Non posso nascondere quanto mi siano girate le scatole, un'idea ce la possiamo fare considerando che ho scattato una sola foto mentre eseguivo la correzione.

10 mesi, un nuovo cuore
Ci ho lavorato per dieci mesi, da luglio 2024 ad aprile 2025. Non era una commissione né un progetto personale di alto profilo, ma una piccola sfida che mi restava in testa anche nei giorni in cui non avevo tempo o testa per applicarmi. Ma l’idea di vederla finita mi rincorreva.
I momenti più critici? Sicuramente quando avevo realizzato che non aveva una scala standard, ci è mancato davvero poco che il progetto terminasse in quel preciso istante. Però sapevo che volevo e che dovevo andare avanti, avevo fatto la promessa di trattare quella chitarra con i guanti e accompagnarla al deposito dei rifiuti sarebbe stato ingiusto; il lavoro cambio scala è stato sicuramente il principale nonché più lungo processo che ha visto questa chitarra, e tra l'altro avrei scoperto solo alla fine se effettivamente l'intervento sarebbe riuscito o meno, ma la presi come una sfida non solo verso la chitarra ma anche verso me stesso.
Sempre il manco è il protagonista del secondo momento di difficoltà: al primo montaggio di prova dopo la verniciatura realizzai che aveva un’inclinazione all’indietro che limitava la regolazione dell'action; con l'aggiunta dello spessore si rese necessario riverniciare nuovamente il tacco. Tuttavia il lavoro minuzioso fu ripagato da un risultato perfetto: il manico era finalmente parallelo al body.
Alla fine del montaggio definitivo non la collegai nemmeno all’amplificatore: bastò sentire come suonava da spenta: un sustain lunghissimo, armoniche ricche, un corpo sonoro pieno. Era viva.
Il primo suono amplificato? Quello che speravo: un timbro denso, corposo, che non si spegneva finché non fermavi le corde dato dal peso e dalla densità di quel body in multistrato.
Ero soddisfatto. Certo, qualche dettaglio era ancora da sistemare, ma la chitarra era rinata. Bellissima.
La prima cosa che feci fu scattare qualche foto e mandarle alla precedente proprietaria.
Mi rispose: “sono commossa”. Non ricordava nemmeno com’era fatta quando me l’aveva data.
Ora quella chitarra non sogna più di finire nel secchione. Ora si scalda sotto il sole, con un nome nuovo: Sandra, come la signora che me l’ha affidata. Non aveva un valore economico, ma uno affettivo enorme. E ora ne ha anche uno in più: la storia che porta con sé.